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Non esiste film più bello della nostra vita. E non esiste per diversi motivi. Innanzitutto: non abbiamo bisogno di produttori e sceneggiatori per poter andare avanti, per poter affrontare le nostre giornate e dare forma ai nostri sogni. Le battute sono sempre lì, sulla punta della lingua. La luce giusta è la luce dell’attimo. I costumi che dobbiamo indossare sono i costumi di cui non possiamo fare a meno: noi stessi. E poi non ci sono interpretazioni più o meno giuste e più o meno da Oscar: vanno bene tutte, dalla prima all’ultima; e vanno bene perché sono vere, genuine, freneticamente incontrollabili.
Il cinema è una questione di passioni e ossessioni, suggerisce Ira Sachs con Passages. In È stata la mano di Dio, Paolo Sorrentino fa dire a Fellini che la realtà è scadente. E proprio in quel momento, dal nulla, come un miraggio nel deserto, appare Maradona in macchina, fermo e bellissimo, una divinità del pantheon del calcio dei grandi tocchi e delle imprese impossibili. Non è cinema questo? E la realtà, diteci, è davvero così scadente?

copertina deluge magazine 22 Valerio Mastrandrea

Venezia, di questi fenomeni, è la patria. Durante la Mostra internazionale d’arte cinematografica il Lido si trasforma, diventa un set a cielo aperto e chiunque – no, davvero: chiunque – può diventare il protagonista di un film che non è ancora stato girato. Che può essere il prossimo capolavoro. Li vedi in fila, sotto il sole. Oppure schiacciati contro le transenne, in attesa di questo o quell’attore. Certi si sbracciano; altri, invece, stanno immobili. Statue di carne e ossa. Sono seri, serissimi. Giovani, meno giovani, padri, madri, figli e figlie. E poi: amici, parenti, fidanzati, conoscenti, occasionali; vicini di casa. Che cosa fanno lì e che cosa sperano di ottenere.
Dall’altra parte della barricata, e cioè dalla parte di chi il cinema lo fa ogni santo giorno, vivere è un esercizio difficile e mai identico, e proprio per questo meraviglioso. Chiedete in giro: dove si trova l’ispirazione, come parte quella scintilla straordinaria che è la creatività. E tutti, o quasi tutti, vi risponderanno nello stesso modo: c’è la vita, va vissuta e osservata. Perché è nelle piccole – o grandi, dipende dai punti di vista – cose che si cela l’essenza della verità. E il cinema, inteso come linguaggio, è esattamente quest’essenza che prova a cogliere e a raccontare. È un mezzo, non il fine. E un film, un bel film, non deve dare risposte, ma porre nuove domande.

Usciti dalla sala ci dobbiamo sentire travolti e stravolti, pieni e allo stesso tempo vuoti. Sorridere deve trasformarsi in qualcosa di più di uno scatto muscolare, di una chiamata alle armi di lineamenti e pieghe; sorridere è – o dovrebbe essere, almeno – come lo sbuffo di una megattera che risale in superficie e sbircia l’altra faccia del mondo: ugualmente azzurra ma differente. Capovolta e immersa nei raggi del Sole.
Il cinema, ci dice Christopher Nolan con il suo Oppenheimer, è anche una questione di musica e numeri, di matematica e codici. E – attenzione – non c’entrano niente gli algoritmi. C’entra, semmai, il ritmo della nostra esistenza. Che sale, scende, torna indietro, si ribalta, s’intreccia e intanto intona una melodia. Ed è lì, nella rincorsa delle note, dei suoni e dei rumori, nell’abbraccio delle sfumature e dei cambiamenti graduali, che ogni cosa assume un ordine caotico, mormorante e – ancora una volta – vivo.

Il tema del nuovo Déluge è come un invito. Anzi no, di più: come un’esortazione. Sembra lo stesso messaggio che il regista Hayao Miyazaki ha ripreso da Paul Valéry: «Si alza il vento, bisogna tentare di vivere». Eccoci, allora. Il vento si è alzato, l’aria fresca spira dal mare, c’è una strada davanti a noi che aspetta solo di essere percorsa. Ed è la vita. Oppure, se preferite, il cinema.
Niente flash, niente vestiti firmati, niente red carpet. È il cinema delle grandi emozioni: è il nostro film da protagonisti. E nessuno – regista, sceneggiatore o produttore – ci potrà dire come interpretarlo. Questo è un segreto che conosciamo unicamente noi – noi e quelli che, con noi, vorranno farne parte. Marcello Mastroianni diceva di amare il mestiere dell’attore perché tutto rimaneva in quella dimensione contenuta, e insieme esplosiva, del gioco. Ci permettiamo di riassumere: il cinema è un gioco, ed è il gioco più bello della vita. Motore, partito, azione.

– testo di Gianmaria Tammaro

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Déluge è una rivista mensile indipendente dedicata al talento delle persone.

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