Che Venezia è questa Venezia? Attori, attrici, registi, star, amici: è sempre la solita Mostra o qualcosa è cambiato? Alberto Barbera, il direttore, ha detto di sì, ha detto che c’è stato un passo in avanti – o, se preferite, di lato – rispetto al passato. Il tema di quest’anno sono i film, com’è giusto che sia, e il rinnovato rapporto con il pubblico. Perché qualcosa è davvero differente, sapete: le storie sono diventate più lunghe, il cinema si è avvicinato alla televisione e ne è stato affascinato. Lo spettatore si è ritrovato tra questi due fuochi, e ha dovuto decidere.
Ma questa Venezia è anche la Venezia del ritorno di Tim Burton, del sequel di Beetlejuice, di George Clooney e Brad Pitt, di Angelina Jolie e di Cate Blanchett. Ci sono film tratti da storie vere, come Maria di Pablo Larraín, da libri, come il Queer di Luca Guadagnino, e di pura finzione. C’è l’amicizia dei divi hollywoodiani, che si ritrovano dopo tanto (o poco) tempo, e c’è la visione straordinaria degli autori, che ancora una volta provano ad andare oltre, a sperimentare, a riappropriarsi degli spazi del racconto: pionieri dell’immaginazione, alfieri della creatività.
Cos’altro c’è? I carpet, le foto, le urla, i traghetti, i taxi del mare, il Lido, le luci, i riflettori, le camminate infinite e i film recuperati all’ultimo secondo, prima che sia troppo tardi. La Mostra è anche una grande festa. E di questo, forse, parliamo troppo poco, presi come siamo dal circo mediatico. Venezia, la Mostra, funziona come un appuntamento fisso per tutti gli appassionati di cinema. I carpet sono presi d’assalto dai fan, che si accampano, trovano il loro angolino e aspettano. Ma la stessa cosa, se ci pensiamo, succede pure alle sale, con la loro programmazione chilometrica, i biglietti, i turni e le file.
Venezia, in qualche modo, si pone come un crocevia all’interno del tempo e dello spazio. Pensiamo al sequel di Beetlejuice: è il ritorno del Tim Burton più gotico e visionario, di Michael Keaton e Winona Ryder; segna il passaggio di testimone con il nuovo, con una star come Jenna Ortega, e ci dice che non tutti i sequel sono operazioni commerciali, che a volte può succedere di trovarne di sinceri e ben costruiti.
Tornando però all’altro discorso che facevamo, e cioè quello sull’amicizia e i grandi incontri, a questa Venezia, anche se in modo sparpagliato, è stata reinvitata la Banda Caligari: c’è Valerio Mastandrea con Nonostante, il suo nuovo film da regista proiettato in apertura alla sezione Orizzonti; c’è Alessandro Borghi, protagonista di Campo di Battaglia di Gianni Amelio, e c’è Luca Marinelli, che interpreta Benito Mussolini in M. Il figlio del secolo, la serie tv di Sky diretta da Joe Wright e scritta da Stefano Bises e Davide Serino.
Insomma, Venezia è davvero per tutti. E se cercate un’immagine, una sola, per mettere a fuoco l’edizione di quest’anno (la numero 81, ricordiamocelo) vi suggeriamo di recuperare il sorriso di Sigourney Weaver che proprio nella serata di apertura ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera e ha sfilato sul red carpet. Si è detta felice e onorata, come ci si aspetta in simili occasioni, ma ne ha pure approfittato per parlare di sé, della sua carriera, delle donne nel mondo e al cinema. Ha fatto politica, ma attenzione: non c’entrano né i partiti né le tifoserie. La sua è stata la politica degli autori e degli attori, quella bellissima e onesta: chi si trova in posizioni di particolare visibilità, esposto ai sentimenti e al pubblico, sviluppa uno sguardo diverso, più intimo, che è importante ascoltare.
Ecco, Venezia è anche questo: un luogo per l’anima e per il futuro.