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Sognato. Bramato. Atteso, intimamente, anche per una vita intera. Minimizzato, in pubblico, perché la vanità non è considerata chic: «Ma no che non m’interessano i vezzi, i tappeti rossi, la popolarità».

Banalizzato e bistrattato, a porte chiuse. Dai fotografi che evitano book e photocall come la peste, da critici e giornalisti che non si mischiano alla folla, ché non hanno mica bisogno di starsene schiacciati e sudati in mezzo al pubblico pagante per rubare un selfie, un autografo. Loro, i divi, li chiamano per nome e perfino per soprannome: «Ah, c’è Picchio sul carpet», dicono sfilando in direzione contraria.

Noi, però, quest’anno ci fermiamo proprio qui davanti. Anche qui davanti, con Déluge Rouge: from the red carpet. Ovvero con una gallery direttamente dal tappeto rosso di Venezia80.
L’evento nell’evento. Il glamour che squarcia il cinema. Lo show che precede lo spettacolo in sala. Il regno dei look, delle pagelle, delle cadute di stile ma anche – se non dimenticate di osservare bene – dell’attimo che precede la storia. Dove ogni cosa è appena diventata possibile, dove tutto può ancora divenire: esserci è già una vittoria.

Di questo red carpet in una Venezia che festeggia un compleanno importante, noi non vogliamo perderci le prime volte e i ritorni. Gli sguardi di chi vive l’incanto come una novità e di chi, invece, è qui per riscattarsi. Ma soprattutto di quelli che si emozionano ancora, anche se non credevano di averne bisogno.

C’era una volta, in un tempo lontano, una ragazzina che inciampava nei tacchi della madre per provare un discorso davanti a uno specchio.
C’era una volta, in un tempo lontano, un ragazzino che usava il profumo del padre per simulare un microfono.

Voglio dedicare questo premio alla mia famiglia.
Da grande sarò un attore come Al Pacino.
Il mio sogno è fare la regista.
Guarda qui, un sorriso per la stampa!

E allora ripensiamo alla prefazione del libro di Gian Piero Brunetta, La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 1932- 2022, in cui Roberto Cicutto e Alberto Barbera hanno raccontato questa nostra «Vecchia Signora il cui prestigio non è stato scalfito neppure dai periodi meno brillanti che hanno segnato la sua travagliata storia. Una storia che s’intreccia con quella delle vicende politiche, sociali e di costume che hanno segnato l’Italia nel corso del secolo breve, riflettendone come in uno specchio le alterne fortune: “e discese ardite e le risalite”, per dirla con Lucio Battisti e Mogol».

Tra discese ardite e risalite, era questo il red carpet che sognavi?
Era così che immaginavi questo tappeto rosso desiderato, chiacchierato, criticato? Eretto, pure, a monumento di deriva culturale da tutti coloro che non tollerano – che proprio non possono concepire – che accanto ai maestri della settima arte sfili anche tal tronista, tal influencer, tal imprenditrice digitale. Anno dopo anno si moltiplicano, imbellettati, impaillettati, imbalsamati nei brand disposti a pagare (molto) per averli qui, mentre l’esordiente con il film in concorso sbarca al Lido a proprie spese.

«Ma li vedi? Vicino a Picchio, a Liliana, ad Adam. Ma ci rendiamo conto? Che oscenità». Lasciateci almeno questo tappeto (dicono), questo brandello di terra rossa e franca (l’ho detto anch’io), quest’oasi protetta in cui noi povere bestie in via d’estinzione possiamo ancora rifugiarci a parlar di cinema e cultura. E imbellettarci, impaillettarci, fotografarci e invocare un Contratto Collettivo Nazionale. Andate al cinema, ma restate fuori dal regno del cinema.

Déluge #22

Per farci cosa, poi?

Pare un’enorme ipocrisia, è vero, e forse in parte lo è. Sembra il capriccio di un’élite che guarda il pubblico da una prospettiva privilegiata e distorta. Sembriamo usciti – tutti, chi più chi meno – dalle pagine della parodia distopica di Giacomo Papi: «Ma dài, fanno entrare proprio tutti. Una pasticciera radical chic non si è mai vista». Inizia con il censimento dei radical chic, il libro di Papi, e finisce con la loro estinzione: intellettuali emarginati dalla società e ridimensionati a declamare Pinocchio o Piccole donne nelle gabbie di uno zoo per intrattenere il pubblico. «Ma non è umiliante?». «Un po’ sì, ma più o meno è quello che facevamo prima, ai festival e alle presentazioni, solo che adesso il pubblico compra il biglietto».

La verità è che il red carpet non è cosa ‘nostra’ né cosa ‘loro’, e i festival cinematografici sono da sempre un caotico matrimonio: gli invitati cozzano tra loro come fazioni opposte, mentre festeggiano più sé stessi che gli sposi.
Ma se proprio dev’essere di qualcuno, allora il red carpet appartiene a chi lo attraversa con una storia alle spalle, e solo nel preciso momento in cui è lì sopra. Un attimo solenne quanto impercettibile, un lampo, un respiro tra «questa non è una faccia da protagonista» e il prossimo film «che non venderà mai».
Se osserviamo bene, se guardiamo nella direzione giusta, vedremo bilanci intimissimi e aspettative inconfessabili. La bellezza di una rivincita che dura appena tre minuti, prima che la giostra riprenda a girare.
Da dove sono partito? Cosa succederà dopo? E come sono arrivato qui?
Qui, sì, guarda qui! Facci un sorriso. 

– testo di Chiara Del Zanno

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Déluge è una rivista mensile indipendente dedicata al talento delle persone.

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